raffaele solaini
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Il tribunale di Milano dovrà nuovamente deliberare sul caso di Eluana Englaro, seguendo le direttive impartite dalla Corte di Cassazione: la sospensione delle terapie sarà ammissibile solo se la comunità scientifica ritenga irreversibile lo stato vegetativo e se la paziente abbia precedentemente espresso la volontà di non essere mantenuta in vita artificialmente. È chiaro il tentativo di stabilire criteri oggettivi, e quindi accettabili da tutti, per decidere in situazioni limite. Per definire un limbo nel quale la vita è ridotta al lumicino, ma la morte non arriva. Quali che saranno le decisioni dei prossimi giudici, però, temo che tali criteri non permetteranno di giungere a una conclusione condivisa, perché il nodo vero non viene affrontato.

Il mondo cattolico, e quanti affermano di battersi per il diritto alla vita, avranno buon gioco a sollevare dubbi sull’irreversibilità dello stato comatoso, a fronte, magari, di nuove scoperte mediche. Contesteranno che terapie, che non configurano forme di accanimento terapeutico, non possono in nessun caso essere interrotte. Sofismi, forse, che nascondono il reale punto di dissenso: non spetta al legislatore consentire la morte, né al paziente decidere al riguardo, neanche se si tratta della sua morte. Il fatto che non gli sia più possibile esprimersi rende solo tutto più facile. La responsabilità appartiene all’ordine del divino; compito degli umani è mantenersi se possibile in buono stato, fino a quando non giunga il momento.

Il padre di Eluana potrà ora forse vedere accolta la sua richiesta di sospendere le cure alla figlia, ma neanche lui può dirsi soddisfatto. La questione di principio che egli pone non è stata accolta. La morte, affermò in un’intervista rilasciata subito dopo la scomparsa di Piergiorgio Welby, fa parte della vita e spetta per questo a ciascuno scegliere come affrontarla, chiudendo così il senso della sua esperienza terrena. E poi rimane il ricordo. La distanza fra il mondo cattolico e quello laico sta tutta nella diversità inconciliabile fra due concezioni della vita. Vista dai primi come un segmento terreno, tracciato dalla mano del Creatore; dagli altri come un’opera scritta, dalla prima all’ultima pagina, dal suo autore mondano. Su questo punto la Cassazione non dice nulla, né nulla poteva dire.

Privo del conforto della fede, temo che sia impossibile decidere oggettivamente dei confini della vita e della morte, resi oggi ancora più vaghi dai progressi scientifici. Per questo, il dolore, soggettivo e personale, del padre mi sembra l’unico criterio che conti e che dia garanzie di una scelta responsabile. Dolore per la perdita della figlia, ma ancor di più per l’impossibilità di riconoscerla, così ridotta. Il suo sguardo dice la verità.

LA VERITA` NEGLI OCCHI DEL PADRE
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(Affaritaliani.it, 16-10-2007)